venerdì 30 ottobre 2015

Vitamina D, patologie e strumenti di diagnosi

A partire dagli anni 2000 vi è stato un incremento delle pubblicazioni scientifiche relative a questo argomento, con il suo apice negli ultimi tre anni. Pertanto l’interesse del mondo scientifico nei riguardi di questa vitamina è andato aumentando di pari passo con l’ampliamento delle conoscenze.
Nonostante ciò, lo studio sugli effetti dello stato carenziale e sul rachitismo (uno dei principali effetti della carenza da Vitamina D) hanno origini ben lontane risalenti all’800 e alla rivoluzione industriale, durante la quale ci fu un diffondersi del rachitismo stesso, in seguito agli effetti dell’inquinamento. Suggestivo è l’esempio della Londra di quel periodo, in cui lo smog emesso dalle fabbriche oscurava il cielo impedendo il passaggio della luce solare ed in particolare dei raggi UV (che come vedremo, sono di importanza fondamentale nella sintesi della VitD).
Altri fattori di importanza storica, erano quei rimedi casalinghi, nella battaglia al rachitismo, quali il consumo diffuso di olio di fegato di merluzzo, che veniva spesso somministrato ai bambini, poiché molto ricco di Vitamina D (come in generale gli alimenti a base di pesce).
Oggi la somministrazione della Vitamina D attraverso la dieta è soggetta a trial per valutare quanto sia importante implementare la dieta e sensibilizzare la popolazione riguardo l’importanza che oggi viene attribuita a questa vitamina (una sempre maggiore fetta della popolazione va incontro ad insufficienza di vitamina D).

Sintesi della Vitamina D
Vie di introduzione della vitamina D nell’organismo
Il contenuto di Vitamina D nell’organismo dipende da due fonti principali:

  • Una via esogena, l’introduzione attraverso la dieta. Questa va a costituire solo 10-20% dello status di vitamina D all’interno dell’organismo. Vedremo, già accennato riguardo al pesce, quali sono gli alimenti con contenuti elevati di vitamina D.
  • Una via endogena, la sintesi attraverso l’interazione tra i raggi Ultravioletti di tipo B e l’epidermide, che costituisce ben l’80-90% dello status della vitamina nel corpo.
Il concetto deve essere ben chiaro, e cioè che nonostante una dieta adeguata possa fornire una quota della vitamina necessaria, la percentuale maggiore deriverà sempre da quella endogena, sintetizzata dal nostro organismo in seguito all’esposizione ai raggi UVB.
L’abbronzatura derivante dalle macchine di ultima generazione, a disposizione dei centri benessere, non sono in grado di sostituire l’effetto dei raggi UV del sole. Paradossalmente, strumentazioni meno recenti, mimando l’effetto dei raggi UV, permettono la sintesi di Vitamina D.


Idrossilazione della Vitamina D
La vitamina D, una volta nell’organismo, sia essa introdotta per via esogena o sintetizzata per via endogena (la stragrande maggioranza), va incontro a delle modificazioni, affinché essa diventi attiva. La prima, che avviene ad opera del fegato, è un’idrossilazione in posizione 25 per cui avremo la formazione della 25-idrossivitamina D ( 25(OH)D ).
[Questo particolare passaggio è considerato importante dal professore in sede di esame per il discorso che segue qui, e per l’importanza della 25(OH)D nella determinazione dello status di Vitamina D che vedremo più avanti.]
La 25(OH)D sebbene non sia ancora la forma attiva, è quella utilizzata in laboratorio, per la determinazione dello status di Vitamina D nell’organismo. Essa, però, non costituisce la frazione attiva. La frazione attiva della vitamina, quella che espleta gli effetti biologici per cui è preposta, è la forma che deriva dalla seconda idrossilazione, ad opera del rene, in posizione 1-alfa. Avremo quindi la 1,25-diidrossivitamina D ( 1,25(OH)2D ). Questa è la frazione molecolare attiva, quella che legando gli specifici recettori per la Vitamina D presenti nel distretto di destinazione, scatena la cascata trasduzionale che determina fenomeni al livello dell’apparato scheltro-muscolare, che sono i primi studiati, ma anche, come si è più recentemente scoperto, in molti altri distretti dell’organismo.
Riassumendo i concetti espressi finora, lo status di Vitamina D dell’organismo deriva da un 10-20% esogeno (derivante dalla dieta) e da un 80-90% endogeno (derivato dalla sintesi in seguito all’interazione tra epidermide e raggi UVB).
Le due tappe metaboliche principali sono:

  • L’idrossilazione in posizione 25 a carico del fegato che ci da la 25-idrossivitamina (target della determinazione dello status di vitamina nell’organismo)
  • La seconda e successiva idrossilazione in posizione -alfa che ci da la 1,25-idrossivitamina, la forma molecolare attiva.
Alimenti ad alto contenuto di Vitamina D
Quali sono gli alimenti con alto contenuto di Vitamina D?
Il pesce è ovviamente in testa, in questa particolare classifica. Il salmone presenta una quantità molto elevata di Vitamina D, ma anche come già citato, l’olio di fegato di merluzzo.
Altri alimento ad alto contenuto di vitamina D sono le uova e alcuni formaggi (quali l’emmental, quello che ne contiene di più).
Il latte vaccino e quello umano, ad esempio, hanno bassi contenuti di Vitamina D, così pure frutta e verdura.
Bisogna ricordare comunque, che a prescindere dal quantitativo di cibi introdotti, l’apporto della dieta non costituisce mai più del 20% del totale della Vitamina D presente nell’organismo.

Generalità sulla vitamina D
Da qualche anno si ritiene che la definizione della Vitamina D come vitamina, non sia in realtà consona, in quanto viene considerata da molti un ormone. Questo è avvenuto in seguito alla scoperta di una serie di ruoli della vitamina D, nella regolazione del metabolismo del calcio non solo a livello muscolo-scheletrico, ma anche a livello intestinale (aumenta l’assorbimento di calcio), e altre funzioni neuromuscolari, immunologiche e metaboliche di grande importanza (tant’è che possiamo considerare i recettori per la vitamina D quasi ubiquitari).

Effetti dei raggi solari in relazione a particolari fattori
L’effetto dei raggi solari sulla frazione di vitamina D nell’organismo, è di importanza fondamentale. Se si misura la frazione di vitamina prima e dopo l’esposizione ai raggi, lasciando scoperta un’ampia superficie di pelle (perché l’esposizione non può avvenire solo su faccia e mani) si nota come vi sia un aumento di Vitamina D lineare con la quantità di esposizione. Inoltre la quantità di vitamina D è strettamente dipendente dall’ora e dal mese in cui avviene l’esposizione. Nei mesi invernali in cui c’è una minore esposizione al sole, c’è un conseguente calo della quantità di vitamina D nella popolazione.
La determinazione della vitamina ,probabilmente, da sola non è sufficiente. Bisogna dare un contesto, valutando queste variazioni stagionali. L’importante non è il picco che una persona può raggiungere dopo una vacanza al mare. È importante invece, studiare gli effetti dell’eventuale insufficienza nei mesi invernali, quando una persona tende a stare coperta, o molte ore in casa, con esposizione ai raggi solari quasi assente.
Sempre in questo ambito, l’esposizione ai raggi solari durante una giornata soleggiata di ottobre darà un aumento minore della Vitamina D che l’esposizione in una giornata nuvolosa di giugno, mese durante il quale alle nostre latitudini la forza dei raggi solari risulta maggiore.
Nel caso specifico degli anziani, al contrario, vediamo come la relazione tra esposizione e aumento della vitamina sia meno evidente, e più in generale che i livelli di vitamina D siano più bassi (sia in caso di esposizione che no). Questo perché, come effetto dell’invecchiamento, la sintesi di vitamina nell’anziano viene in qualche modo ad essere diminuita.
Negli ultimi anni sono state migliorate le nostre conoscenze, non tanto sulle fonti di produzione della vitamina D, quanto sui meccanismi molecolari, che regolano, all’interno di molti tipi cellulari, non solo a livello delle cellule del sistema scheletrico- muscolare, l’azione della vitamina D. Come accennato, si è capito che i recettori della vitamina D esistono a livello quasi ubiquitario.
Da uno studio mirato semplicemente a valutare le funzione della Vitamina D sul metabolismo e sulla funzionalità muscolo-scheletrica, si è passati ad uno studio diretto su una serie di altri organi bersaglio, riguardo le funzioni e le patologie derivanti in seguito alla carenza. Tra i più importanti studi vi sono le concause nello sviluppo di tumori, nei casi più drammatici di alterazioni dello status vitaminico.
Questo ha portato prima ad un approfondimento delle funzioni autocrine e paracrine della Vitamina D, fino ad arrivare a studiarne gli effetti endocrini (per tale motivo alcuni ritengono, debba essere chiamata Ormone D piuttosto che Vitamina).

Determinazione dello status della Vitamina D
Biochimicamente la vitamina D presenta due forme principali:

  • La Vitamina D3 o colecalciferolo, di origine animale, sintetizzata dall’azione degli UV. È presente in alcuni nutrienti ed è biologicamente inerte. La conversione nel fegato e nei reni, produce la forma attiva.
  • La Vitamina D2 o ergocalciferolo, di origine vegetale, anch’essa sintetizzata tramite l’azione dei raggi UV, e introducibile esclusivamente attraverso la dieta. La forma attiva della D2 è mille volte più attiva della forma 1,25(OH)2
La D3(colecalciferolo), derivante dall’interazione coi raggi solari del 7-deidrocolesterolo, costituisce circa il 95% della vitamina D circolante, il restante 5% sarà costituito da D2(ergocalciferolo), derivata invece dall’interazione coi raggi solari dell’ergosterolo.
Dal punto di vista clinico e laboratoristico, bisogna misurare la sommatoria delle due frazioni. Inoltre, i metodi utilizzati devono presentare risultati equimolari, in modo che misurando la frazione di uno, quella dell’altro risulti il totale meno questa.
Le metodologie cambiano, quindi a seconda dei laboratori o dei Paesi in cui avvengono. Molti laboratori tendono a determinare D3, ma alcuni mantengono la determinazione del D2.
Nonostante le numerose metodologie, la validità del test può essere assicurata fintanto che esso presenterà risultati equimolari. Questo perché la frazione di Vitamina D è la sommatoria della frazione di D3 e di D2.
Nello specifico, abbiamo ripetuto più volte, come la forma da determinare non sia quella attiva: perciò dobbiamo considerare sia nel caso della D3 che in quello della D2 le forme 25-idrossilate: 25-idrossivitamina D2 e 25-idrossivitamina D3.
La forma 25(OH)D è il metabolita che deve essere misurato in laboratorio, per appurare eventuali insufficienze, carenze o intossicazioni (Scarso il pericolo di intossicazioni, poiché la vitamina D non è generalmente tossica e non si accumula in modo da dare tossicità. Il pericolo maggiore è l’introduzione di grossi quantitativi tramite l’uso smodato di farmaci).Questo per due principali motivi:

  • È la forma che circola maggiormente, ed ha un’emivita abbastanza lunga, di circa 2-3 settimane . Questo ci permette, in caso di determinazione, di essere abbastanza certi che i livelli di D che abbiamo trovato, non siano dovuti ad un picco di poche ore o addirittura minuti, ma che siano rappresentativi della realtà dell’organismo per almeno due tre settimane.
  • E infine la 25(OH)D è la sommatoria della vitamina che viene introdotta dalla dieta e di quella che viene formata endogenamente in seguito all’esposizione ai raggi solari (UVB).
Sull’importanza della determinazione tramite 25(OH)D risulta esserci un largo consenso in letteratura.

Difficoltà nella determinazione della vitamina D
La 25(OH)D è stata descritta come un analita difficile nella storia recente. La determinazione di essa non è semplice per molti aspetti:

  • Esiste in forme molecolari diverse. Poiché noi non siamo interessati alla forma attiva, agli eventuali epimeri e ad altre forme molecolari, c’è bisogno di analisi che siano in grado di individuare esclusivamente la 25(OH)D.
  • Questo analita inoltre ha una natura idrofobica (più avanti verrà spiegata la relazione tra l’idrofobicità di questa molecola, e l’eventuale aumento degli stati carenziali di Vitamina D nella popolazione).
  • Nel sangue la vitamina D, circola fortemente legata ad una particolare proteina chiamata VDBP che vuol dire Vitamin D-binding protein (proteina per il legame con la Vitamina D).
Riassumendo le problematiche nella determinazione dello status della vitamina D sono legate al fatto che è fortemente idrofobica, è scarsamente antigenica, legata fortemente a VDBP, esistono varie forme molecolari e la determinazione della forma D2 e D3 deve avvenire in forma equimolare.

Vari tipi di Determinazione
La determinazione della Vitamina D può avvenire tramite varie tecniche:

  • Immunodosaggi, esistono delle determinazioni basate sullo sviluppo di anticorpi in laboratorio, specifici per la vitamina D. L’aggiunta di questi anticorpi opportunamente marcati al campione, e il seguente legame alla vitamina, saranno utili a determinarne la presenza e quantità.
  • Sono utilizzati particolari metodi cromatografici come HPLC (Cromatografia liquida ad elevate prestazioni).
  • LC-MS/MS, una cromatografia liquida accoppiata con spettrometria di massa tandem.
Dopo i recenti progressi, sono state tracciate delle linee guida nella determinazione della Vitamina D quali un metodo di riferimento e dei materiali di riferimento, da utilizzare nei test di laboratorio.
Ciò impedisce tuttavia che ogni laboratorio usi la stessa metodologia di riferimento. È stato quindi introdotto il concetto del bias, per cui confrontando la metodologia utilizzata in un particolare laboratorio essa debba riportare risultati confrontabili con quelli del metodo di riferimento. Il Bias in particolare si concentra sui valori che questi metodi danno, e su quanto questi si distacchino da quelli che si ottengono col metodo di riferimento.
I materiali di riferimento, sono tutte quelle sostanze che servono a calibrare e a controllare i metodi utilizzati, per stabilire concentrazioni di Vitamina D.
A Padova viene utilizzato il metodo chemiluminescente. È stato visto che è ben correlato col metodo di riferimento anche per concentrazioni molto basse, che sono quelle che designano lo stato di carenza o di deficienza in cui si può dire che c’è necessità di supplementare il paziente con la vitamina D.
In generale, e soprattutto nei bambini, in questi test c’è un problema legato alla formazione di epimeri che sono delle forme molecolari particolari che non hanno la stessa attività biologica ma che possono confondere il risultato dei test.
Comunque sia la regola è sempre quella di misurare la vitamina D nella sua forma 25(OH)D. Nel caso di test per 25(OH)D3 o 25(OH)D2 è necessario che questi siano equimolari, e che nel referto venga riportata la sommatoria delle due frazioni. Poi ci sono caratteri prettamente laboratoristici, quali i controlli di qualità periodici, o l’obbligo di riportare i risultati in ng/ml.

Vitamina D, latitudine e PIL
Se dovessimo mettere in relazione la latitudine e i livelli di 25-idrossi-vitamina D riscontrati nella popolazione di donne osteoporotiche in menopausa, potremmo osservare che paesi come Francia, Olanda e Germania presentano in generale una popolazione con livelli di vitamina D più elevati rispetto all’Italia, sebbene in media il nostro paese presenti più giorni di sole (che è tra l’altro anche più “attivo”) rispetto ai paesi sopracitati. Come è possibile tutto ciò? Semplicemente, i paesi a latitudini più elevate si prodigano di più affinchè la popolazione possa godere di una supplementazione alimentare di vitamina, abitudine molto meno diffusa in Italia. E’ stato evidenziato, tra l’altro, che i paesi con un prodotto interno lordo maggiore, come quelli scandinavi, presentano popolazioni con maggiore accessibilità a fonti di vitamina D e, quindi, con livelli più elevati di questa.

Deficienza e carenza
Prima di passare ad analisi di tipo epidemiologico, vediamo di fare maggiore chiarezza su termini quali insufficienza e carenza. E’ormai accettato ed utilizzato nella stragrande maggioranza dei casi di letteratura un indice per il quale si parla di insufficienza qualora la concentrazione ematica di vitamina D sia inferiore a 30 ng/ml (o, in moli, 75 nmol/L); ciò vuol dire che il livello di vitamina non è sufficiente affinché questa possa correttamente assolvere le sue funzioni ed azioni biologiche. Se la concentrazione scende ulteriormente fino ad essere inferiore a 12 ng/ml (30nmol/l) ci si trova di fronte ad uno stato di carenza.
Le indicazioni sanitarie più accreditate suggeriscono di trattare solo quei pazienti che si trovino in uno stato di carenza e non di deficienza, anche perchè gli studi evidenziano che se si dovesse scegliere di trattare con vitamina D esogena tutti i pazienti che siano in uno stato di insufficienza, ma non di carenza, il bersaglio di popolazione andrebbe a coinvolgere più dell’80% di essa.
Se dovessimo consultare delle tabelle che illustrino le percentuali di soggetti in stato carenziale, ripartiti in uomini e donne, di differenti nazioni, ci accorgeremmo che purtroppo nel nostro paese circa l’80% delle donne si trova in questo stato; altri stati invece, come Francia, Gran Bretagna, paesi scandinavi e Stati Uniti, pur trovandosi a latitudini più elevate rispetto alla nostra, presentano situazioni di gran lunga migliori generalmente imputabili a due motivazioni:

  • Molti cibi vengono pre-integrati con ragionevoli dosi di Vitamina D (anche se sappiamo che l’introito alimentare può contribuire non oltre il 20% alla biodisponibilità di vitamina D)
  • Sono stati messi in atto eccellenti programmi di campagne di sensibilizzazione.
In Italia la situazione è talmente critica che oltre a quel 77% circa di soggetti che è si trova già in stato carenziale, esiste una percentuale del 25% tra le donne in cui il dosaggio ematico di vitamina D è addirittura inferiore ai 5 ng/ml.
Vi sono, poi, notevoli differenze anche nella istituzionalizzazione: la percentuale dei soggetti deficienti istituzionalizzati (<30 ng/ml) è maggiore nei mesi invernali anziché in quelli estivi.
Le tabelle che illustrano il fabbisogno di Vitamina D, mostrano come sia strettamente necessario aumentare il dosaggio giornaliero di vitamina in maniera direttamente proporzionale al progredire dell’età, specialmente superati i 70 anni, età in cui i processi metabolici che coinvolgono questa vitamina sono compromessi; se a questo quadro si aggiunge una sua deficienza, la situazione viene di molto esacerbata [NdA: ho dovuto rielaborare quest’ultimo paragrafo un po’ ad intuito in quanto il Prof. era molto poco chiaro e la qualità dell’audio era scarsa].



Vitamina D e apparato muscolo-scheletrico
Sempre a proposito della correlazione tra insufficienza di Vitamina D e osteoporosi, uno studio molto recente ha evidenziato che nell’intero arco di vita della donna (in cui, per molti fattori, il rischio di osteoporosi è severamente più alto che negli uomini) il rischio di morte per complicanze dovute alla frattura del femore è praticamente uguale al rischio di morte per carcinoma mammario. Questo studio, difatti, conferma in pieno l’affermazione secondo la quale una corretta assunzione ed un corretto metabolismo di questa vitamina ha un effetto benefico duale: sulla muscolatura e, soprattutto, sull’osso, tant’è vero che una importante deficienza e/o carenza di vitamina D si associa a tutta una serie di patologie ossee, quali osteoporosi, osteomalàcia e aumentato rischio di cadute con conseguenti fratture, specialmente del femore; tutti questi rischi sono fortemente diminuiti da una corretta integrazione di vitamina D. Numerosi studi hanno per l'appunto dimostrato che, per esempio, per ridurre il rischio di cadute associabili ad una situazione ossea compromessa non basta somministrare semplicemente calcio, in quanto esso non è in grado di esplicare la sua azione (mineralizzazione della matrice ossea) se non coadiuvato dalla vitamina D, che, pertanto, deve essere anch’essa fornita in dosi appropriate (ricordiamo che la forma attiva della vitamina D3, il calcitriolo, favorisce l’assorbimento di calcio e fosfati dall’apparato digerente, cosa che ottimizza la loro deposizione ossea). Bisogna però aggiungere che svariati trial (studi clinici) hanno dimostrato che una significativa riduzione del rischio di cadute è, peraltro, effettivamente visibile solamente allorquando la supplementazione vitaminica sia compresa tra le 700 e le 1000 unità al giorno; dosaggio che permette di raggiungere una concentrazione plasmatica della medesima vitamina che superi i 24 ng/ml. Queste evidenze sono state confermate, in seguito, anche dalle meta-analisi, che parlano di una riduzione del rischio relativo di cadute compreso che tra il 20 e il 40%.
Oltre a minimizzare il rischio di fratture non-vertebrali, una corretta somministrazione di vitamina D si è vista effettuare un effetto sinergico nei confronti dei farmaci anti-osteoporotici, il tutto supportato, naturalmente, da un adeguato dosaggio e da una buona compliance del paziente; se questo è una persona anziana, bisogna accertarsi che si ricordi effettivamente di assumere la dose.
L’assunzione della vitamina può essere effettuata, nei vari casi, secondo intervalli temporali tra loro differenti: giornaliera (attestata come la più efficace), settimanale, mensile, o, addirittura, annuale, anche se quest’ultima è etichettata come assolutamente di scarsa efficacia ed utilità; questo perché anche la variabile tempo, nella somministrazione, deve rispettare e rispecchiare il ciclo fisiologico di azione della vitamina D. In conclusione e riassumendo, vediamo come 4 siano i determinanti principali di una significativa riduzione del rischio di cadute e complicanze osteoporosiche nei pazienti trattati con vitamina D:

  • Dosaggio preciso
  • Intervallo temporale di assunzione
  • Compliance del paziente
  • Corretta interazione fisiologica della vitamina col Calcio
Spettro d’azione della Vitamina D

Oltre alla sua, ormai universalmente riconosciuta, azione benefica su osso e tessuto muscolare scheletrico, negli ultimi anni, da quando si è scoperto che il recettore delle vitamina non è presente solo nel sistema muscolo-scheletrico, ci si è resi conto di come la vitamina D abbia uno spettro di azione molto più vasto: vari studi stanno, ancora tutt’oggi, tentando di dimostrare l’associazione tra una deficienza di vitamina D con varie situazioni patologiche, quali:

  • Fenomeni autoimmunitari: Sclerosi multipla, diabete mellito di tipo 1.
  • Ipertensione e malattie cardiovascolari
  • Alcune infezione delle vie aeree superiori
Inoltre, si sta cercando di dimostrare come una corretta concentrazione ematica possa avere effetti anti-infiammatori e vaso-protettivi benefici, e anche di saggiare una sua possibile implicazione nel prevenire l’ insulino-resistenza e nel bloccare il sistema renina-angiotensina-aldosterone.
Vitamina D e apparato cardiovascolare
Uno dei primi studi (in doppio cieco), effettuati su un campione di 174 donne con una media di età di 74 anni, ha dimostrato che la somministrazione di vitamina D in aggiunta a quella di Calcio (che veniva già operata sul campione) aveva un effetto notevolmente potenziato nel diminuire la pressione sistolica e, pertanto, nel quietare i fenomeni ipertensivi dei quali le donne soffrivano proprio a causa di una pressione sistolica elevata.
Un secondo studio, che prendeva in esame un campione di 18.000 uomini statunitensi, tutti professionisti in ambito sanitario, di età compresa tra i 40 e i 65 anni, ha voluto studiare la correlazione tra corretti livelli ematici di vitamina D e prevenzione di infarto del miocardio; ebbene, in questi soggetti, che non presentavano alcun tipo di patologia cardiovascolare (nella loro storia clinica) al momento della selezione, si è visto che il rischio relativo di infarto era due volte superiore al normale qualora questi presentassero livelli di vitamina inferiori a 30 ng/ml.
Quando poi si sono andati a vedere gli effetti dei rapporti tra i livelli di vitamina e la mortalità cardiovascolare si è visto che, dividendo la popolazione esaminata in quartili e tenendo conto di un follow-up di otto anni, le coorti corrispondenti al quartile più basso (livelli di vitamina carenziali o deficienti) avevano una percentuale di sopravvivenza di molto inferiore rispetto alle coorti corrispondenti ai quartili con livelli di vitamina, se non normali, perlomeno tendenti alla sufficienza.
Vitamina D, sistema immunitario e tumori
Di grande interesse è anche lo studio degli effetti della vitamina sul sistema immunitario: si è visto, difatti, che la vitamina presenta potenti effetti down-regolatori su cellule dendritiche e sulla loro sintesi di Interleuchina-12, sui monociti-macrofagi e la loro produzione di Interferone alfa e beta. Oltre a ciò, vari studi effettuati, per esempio, su adulti affetti da carcinoma e bambini colpiti da malattie onco-ematologiche, hanno rivelato che il tasso di sopravvivenza di questi pazienti, dopo una corretta riuscita delle terapie anti-neoplastiche (chemio- e/o radioterapia), era di gran lunga superiore qualora questi fossero stati previamente “supplementati” con Calcio e vitamina D.

Conclusioni
In sintesi, possiamo dire che, tra tutti questi studi che abbiamo menzionato a proposito delle varie forme di assunzione corretta/supplementazione di Vitamina D, alcuni hanno ormai accertato definitivamente talune evidenze, quali la riduzione significativa del rischio di osteoporosi, cadute e fratture, altri invece sono perlopiù studi di associazione o al massimo randomizzati, che hanno comunque dimostrato che effetti benefici della vitamina D, seppur in maniera meno marcata, si hanno anche su patologie di natura cardiovascolare (ipertensione, infarto del miocardio) e oncologica; visto che alcuni studiosi ritengono che, in quest’ultimo caso, gli effetti benefici della supplementazione, in pazienti con livelli insufficienti, siano troppo lievi, ci si chiede spesso se valga effettivamente la pena di mettere in atto questo programma, per quella che è in verità una grande fetta della popolazione.
Altri ancora stanno cercando di valutare se stati deficienti o carenziali di vitamina D possano essere associati ad aumentato rischio di obesità, essendo la vitamina D altamente lipofila e concentrandosi quindi nel tessuto adiposo.
In conclusione, al giorno d’oggi si ritiene che sia effettivamente importante tenere sotto controllo i livelli di vitamina D in questi gruppi di pazienti:

  • Pazienti con malattie infiammatorie del tratto gastro-intestinale: l’assorbimento di Vitamina D è ridotto
  • Paziente con malattie epatiche e renali
  • Portatori di by-pass
  • Pazienti in terapia con antipiretici e/o glucocorticoidi
  • Affetti da iperparatiroidismo
  • Affetti da granulomatosi
  • Pazienti affetti da osteoporosi e/o riferenti cadute frequenti nella storia clinica.
In tutti questi gruppi è assolutamente indicato tenere sotto controllo i livelli sierici per operare, in caso di necessità, una adeguata supplementazione; in questo gruppo di soggetti, alcuni studiosi ritengono sia opportuno includere gruppi in trattamento con corticosteroidi (riducono l’assorbimento di vitamina), pazienti sotto chemio- e/o radioterapia, pazienti trapiantati, pazienti con patologie autoimmuni, donne gravide, obesi, diabetici, ipertesi e , magari, anche pazienti ospedalizzati da lungo tempo, che per questo, probabilmente, siano stati scarsamente esposti ad adeguati livelli di luce solare.
In generale, per contrastare tutti i fenomeni che abbiamo visto potenzialmente associabili a stati deficitari di vitamina D, occorrerebbe consultare delle tabelle che indichino le unità di vitamina da integrare con la dieta e il tempo medio da trascorrere esposti alla luce solare in base alla età: per esempio, è opportuno che nel periodo adolescenziale e puberale, in cui si verifica la massima crescita, l’assunzione di unità di vitamina D sia più alta, in relazione ad un suo ovviamente aumentato fabbisogno; ancora, negli anziani è preferibile che l’esposizione non avvenga ai forti raggi delle piene ore diurne, quanto piuttosto ai raggi di quelle pomeridiane.
Per ultimo, possiamo affermare che numerosi studi hanno teso a mettere in relazione un giusto apporto di Vitamina D con il corretto sviluppo cerebrale.

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